di Giancarlo Grassi, #Lopinione
Quando Nicola Zingaretti fu eletto segretario del PD con il 70% dei voti, una percentuale altissima (la segreteria Bersani aveva il 53%, per fare un esempio) ci chiedemmo con il consueto spirito caustico cosa avrebbe saputo fare il nuovo segretario. Poco ci aspettavamo, quasi nulla in realtà, e poco ha fatto. Che è comunque più di quanto ci aspettassimo. ha fatto cose che non ci aspettavamo, come l’alleanza innaturale coi grillini. E non ha fatto ciò che doveva fare: ricostruire il PD a sinistra e non al centro.
Ma sono opinioni. Stupisce però che il segretario che in televisione, poche settimane fa, si vantava di non avere mai perso perda nella maniera più clamorosa: con dimissioni che denunciano la sua incapacità di stare dentro un PD “fratricida”, sono parole sue, che è lo stesso PD dentro il quale è sempre stato. Non è cambiato per isolarlo. Il PD è zingaretticida dopo essere stato renzicida e bersanicida, facendo precedere quelle coltellate a quelle inferte a Veltroni, che del PD fu il primo segretario, e a Fassino, che per la costruzione del PD fece il lavoro sporco. Insomma non c’è niente di nuovo sotto il PD che Zingaretti non sapesse già, essendo lì dentro da qualche lustro. Che poi le dimissioni avvengano con squillar di trombe – preferiremmo definirlo frinir di cicale in giornata caldissima – ed accuse di qua e di là non toglie responsabilità a a Zingaretti che è stato il segretario dell’immobilismo e dell’infilarsi veloce dentro qualsiasi pertugio politico disponibile. Il PD di Zingaretti non ha condotto il gioco, lo ha subito. Le scelte Zingaretti le ha subite non le ha imposte, solo così potrebbe spiegarsi il ministero del lavoro ad Orlando. Tutto succedeva mentre Zingaretti parlava in televisione di un partito vincente che rimane inchiodati nelle intenzioni di voto attorno al 18%, mentre il PD ha perso l’Umbria, mentre le destre avanzano a grandi passi nei sondaggi, mentre Salvini cannibalizza il Governo come se ci fosse solo lui a lavorare con Draghi e Draghi lavorasse per lui, e Zingaretti prima tace poi si dimette. Cosa mi sono perso?
Il 28 ottobre 2019 scrivevamo della definizione che Monica Cirinnà dava del buon Zingaretti: “un segretario che non ha mai perso” ignorando che c’è sempre da chiedersi quanto dura un “mai”. Parlavamo di un PD “al 22,5% dei voti in Umbria e vede la coalizione che lo sostiene (senza Italia Viva) tornare a casa con il 37,5% dei voti quando la Lega da sola ne raccoglie il 37%” e che non trovava di meglio “che dare la colpa a Renzi” quando fu Zingaretti ad imporre in Umbria le dimissioni di Catiuscia Marini senza preoccuparsi di costruire un nuovo gruppo dirigente credibile in regione. Però poi portò Lorenzin dentro il PD. Non proprio un colpo di genio.
Scrivevamo anche che non capivamo come mai si dovesse “votare un partito che si definisce di sinistra e pratica politiche di destra” e ci chiedevamo “come si recuperano i voti del primo partito italiano che è quello che a votare non ci va più e del quale tutti i partiti dell’agone parlamentare – sinistra in primis – si dimenticano allegramente? Cosa ha fatto Zingaretti in questi mesi a parte fare il piacione e presentarsi con un’idea a livello nazionale che viene sbugiardata puntualmente dalle sue scelte a livello locale? Programmi? Scelte? Ricollocazione del partito a sinistra? Diritti? innovazioni? Scelte che facciano ripartire l’economia? Alleanze sensate al di là delle necessità della poltroncina? Zingaretti non ha fatto niente. E niente farà, perché l’unica legge all’interno del PD è quella dei fratelli coltelli e quella è l’unica politica che il PD pratica. Non dai tempi di Renzi, ma dal momento della sua nascita”. Questo scrivevamo il 28 ottobre 2019.
Anticipavamo insomma, in qualche modo, ciò che Zingaretti denuncia oggi: l’eterna guerra interna al PD con i Fratelli Coltelli che continuano a farsi lo sgambetto l’un l’altro – dando la colpa a Renzi – e riescono ad impedire ai segretari di lavorare. Soprattutto se non fanno niente. Perché se un segretario viene eletto col 70% dei voti e non è in grado di far sterzare il suo partito verso posizioni diverse da quello che ne hanno ridotto pesantemente l’elettorato migrato verso Salvini , praticando politiche di sinistra e cercando di ricostruire quella sinistra che a votare non ci va più, non è responsabilità di Renzi, è responsabilità di chi non è in grado di fare ciò che deve fare.
Poi se deve regalare le dimissioni mediatiche dando la colpa al partito, è un’altra storia. Ma non ha nulla di politico è solo strategia della comunicazione.
(5 marzo 2021)
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